Dott. Giammario Mascolo

Un caso clinico: depressione

Una donna di trentacinque anni circa, si rivolge a noi dopo aver seguito un trattamento psicoanalitico – freudiano –, come lei precisa-, per otto anni al ritmo di tre sedute settimanali per un disturbo da attacchi di panico molto impedenti.
In questi anni di duro lavoro clinico è riuscita a compensare solo parzialmente la sintomatologia. Riesce ad uscire di casa, è diminuita la paura, ma la sintomatologia neurovegetativa è rimasta inalterata.
Presenta l’aspetto di una persona molto sofferente, incapace di trattenere un pianto continuo, di cui si scusa ripetutamente. Alla domanda che sonda la variabile temporale (Da quanto tempo soffre di questo disturbo?) si lascia andare ad una sorta di confessione a testa bassa, con lacrime continue. Riferisce di essersi sempre sentita diversa, timida, riservata e schiva. Incapace di relazioni “normali” - quelle che vedeva negli altri -, da quando era bambina ad ora.

Il padre, uomo dolcissimo ma tristissimo, segue da circa trentacinque anni cure farmacologiche antidepressive ma con scarsi risultati. Ha vissuto tutta la vita nella colpa di essere depresso e di non aver potuto dare alla famiglia l’atteggiamento e la presenza necessarie, che gli competevano in quanto marito e padre. Così, ormai anziano, passa le giornate seduto davanti alla finestra, rimuginando sul passato, con lo sguardo vuoto verso un futuro inesistente.

La donna si rispecchia in tutti i pensieri del padre e la paura per un futuro simile è ormai una certezza.
Lei si è sempre sentita diversa dagli altri, le sue competenze professionali non hanno mai compensato le incompetenze relazionali; la sua malattia biologica è stata più volte confermata da psichiatri diversi, sia per sintomatologia che per familiarità; la sua malattia affettiva, data da una forte identificazione con il padre, dal trattamento psicoanalitico. Non c’è via di scampo dalle conferme di una condanna di cui era comunque già certa (conferme specialistiche della credenza).

Indagando se, nel corso degli anni, ci fossero state delle eccezioni positive al problema per riconoscere, in questo caso, aspetti della soluzione esistenti ma non rilevabili perché bloccati dal pensiero assoluto, emerge chiaramente che ogniqualvolta lei ha deciso di fare, come quando si è sposata, quando ha cambiato lavoro, quando ha deciso di curarsi a più riprese, per periodi più o meno lunghi è stata meglio, anzi “potrei dire bene” - riferisce lei stessa -.
Poi tutto rientrava nell’ordinaria quotidianità e l’umore ritornava a non lasciare più scampo a pensieri senza via di uscita. Tutta la vita era condotta ai minimi termini, la rinuncia era il minimo comun denominatore di tutte le azioni della quotidianità.

Quando le viene comunicato in tono greve e con lo sguardo fisso nei suoi occhi che “la rinuncia è un suicidio quotidiano” (ristrutturazione che evoca sensazioni), la donna si ferma come impietrita, il pianto si blocca, scende un significativo silenzio.

La relazione terapeutica riprende dopo una lunga pausa, con un sospiro della donna e una comunicazione secca: “se “faccio” sto bene, se non faccio penso; e penso sempre le stesse cose, sono anni che il mio pensiero è sempre uguale: sono come mio padre. Per lui nutro un amore infinito perché solo lui mi può capire, dovrei dunque “fare” per stare meglio, non è vero?”.
Il terapeuta risponde semplicemente dicendo che è stata lei a riferire quando e come ci sono stati dei periodi di benessere nella sua vita… e come poi successivamente si sono persi rinunciando nelle piccole azioni della quotidianità.

La terapia, di conseguenza, è proceduta seguendo le logiche dell’aggiungere, costruendo un autoinganno che permettesse l’azione in luogo della rinuncia.
La tecnica del “come se” (“come se” quel problema, quel particolare comportamento, o quella particolare prospettiva non esistesse) è stata la manovra principe. Parallelamente è stato applicato il protocollo per gli Attacchi di Panico (descritta su questo sito in un altro caso clinico) per portare ad estinzione la sintomatologia neurovegetativa, cosa che è avvenuta nei tempi previsti dal protocollo stesso.

Durante il procedere della terapia si è assistito ad un continuo e costante miglioramento, a detta della donna, fino ad arrivare a percepire il senso di benessere per il controllo acquisito sui suoi pensieri e sulle sue azioni.

La certezza di avere una malattia organica si era trasformata in dubbio, che non era, tuttavia, ancora andato ad estinzione. Per questa ragione la paziente richiese sedute di controllo mensili, proprio per non scivolare nuovamente nella depressione. Così in effetti si procedette allungando gradualmente i tempi tra una seduta e l'altra fino alla definitiva e soddisfacente conclusione della terapia.

Certo, ora la rinuncia si era trasformata in un impegno costante a non rinunciare, sia nei pensieri che nelle azioni, consapevole che … se rinuncia peggiora ….

Questo è un caso esemplare di come un disturbo d’ansia, come i severi attacchi di panico, se non efficacemente curato, possa degenerare in una altrettanto invalidante depressione.

Psicoterapeuta Parma

Psicologo Psicoterapeuta a Roma
Iscrizione Albo n.10467
P.I. 08821351007

Info
© 2021. «powered by Psicologi Italia». È severamente vietata la riproduzione, anche parziale, delle pagine e dei contenuti di questo sito.