Dott. Giammario Mascolo

Carenza di autostima, un caso clinico trattato con successo

Comunque sbagli - Il persecutore interno

Marco è un giovane laureato in economia presso una prestigiosa università e si è appena specializzato presso uno dei più importanti M.B.I. Tutto è andato per il verso giusto nella sua vita fino a quando, riferisce, sono giunte le prime importanti offerte di lavoro, le quali hanno innescato i primi dubbi sulle sue effettive competenze e capacità ad assumere il ruolo di manager.
Finché si è trattato solo di studiare e di divorare esami anche molto impegnativi non ha avuto nessun problema, tutto era pianificato e sotto controllo, ma adesso Marco si sente come il soldato alla prova del fuoco, spaventato e in dubbio sulle sue capacità di combattere e vincere.
Egli cerca di ragionare obiettivamente e ne deduce che tutti i grandi manager hanno dovuto superare tale prova iniziale ma, al tempo stesso, pensa che forse loro erano più sicuri e determinati di lui. Poi, riflettendo a fondo, capisce che è ragionevole avere dubbi sulle proprie capacità sino a che non ci si mette effettivamente alla prova. Ma è altrettanto vero che mettendosi alla prova senza una determinazione sufficiente, si rischia il fallimento:

Forse, per non buttarsi allo sbaraglio e rischiare un disastro, è necessario prepararsi ancora meglio.

Così Marco rimanda il suo ingresso nel mondo del lavoro per proseguire la formazione. Purtroppo, procrastinare non aiuta a superare le insicurezze, bensì le rende più gravi.

Così il giovane laureato intraprende un percorso formativo alla comunicazione manageriale, ma ben presto si rende conto che, soprattutto nel suo caso, la scelta di tornare di nuovo nella posizione rassicurante dello studente non lo aiuta granché, poiché il cimentarsi nell’apprendimento di strategie e tecniche di comunicazione che prevedono esercitazioni espositive con i colleghi di corso lo rimette di fronte proprio ai suoi timori, che anziché ridursi sono aumentati;
alle sue paure, infatti, ora si è aggiunta quella di parlare in pubblico, costantemente alimentata dal dubbio sulla sua capacità di trovare le parole giuste e disporle nella maniera adeguata.

Il persecutore interno ha condotto Marco a evitare di confrontarsi con la realtà per la quale aveva così diligentemente studiato; questo atto, dapprima liberatorio, ha confermato e dimostrato i suoi dubbi sino a farli letteralmente dilagare nella sua mente, facendolo sentire non all’altezza del ruolo.

La situazione diventa insostenibile e Marco si decide a chiedere un aiuto specialistico.

Come accade frequentemente in questi casi, il giovane giunse nel mio studio con una precisa diagnosi di attacchi di panico da parte dello psichiatra al quale si era rivolto in precedenza. Il medico, a seguito di tale inquadramento nosografico, aveva prescritto al paziente un trattamento a base di antidepressivi e ansiolitici. Questa terapia, riferì il paziente, dapprima aveva calmato la sua ansia e ridotto le angosce, ma dopo alcuni mesi la situazione era addirittura peggiorata a causa degli effetti collaterali dei farmaci.

Senza disquisire o criticare il lavoro del collega psichiatra, cominciai a indagare sul problema che Marco presentava utilizzando, come al solito, una serie di domande strategiche per far emergere il funzionamento del meccanismo che lo inchiodava all’incapacità di lanciarsi nel mondo del lavoro.

Emerse chiaramente che Marco avvertiva dentro di sé una costante presenza molesta che lo perseguitava facendolo sentire incapace e svalutando ogni suo successo come se fosse stato frutto di fortuna e non dei suoi meriti. Con un’immagine analogica parafrasai il suo stato come quello di colui che partecipa a un gioco in cui la vittoria vale zero e la sconfitta vale doppio, per cui non è possibile vincere.

Spalancando gli occhi Marco replicò: «Proprio così, non vinco mai, alla fine perdo sempre, e se qualcosa va bene non è mai merito mio ».

Feci tuttavia notare come nello studio avesse sempre vinto alle prove d’esame. Il giovane prontamente esclamò: « Ma all’università non ho dovuto fare niente di realmente pratico e applicativo! » Infatti, solo in questi casi Marco andava letteralmente « in tilt ». Così gli chiesi in che modo cercasse di combattere il suo persecutore interno.
Marco riferì che tentava continuamente di ragionare in modo razionale, ma era una lotta impari, in quanto alla fine i pensieri molesti avevano sempre la meglio, e di fronte alle prove o era scappato o aveva fallito.

La situazione appariva come una sintesi tra un dubbio persecutore e un disturbo d’ansia con blocco della performance.
Sulla base di ciò, come di consueto si procede applicando il modello di psicoterapia breve strategica.
Dapprima azzerai i sintomi invalidanti, poi procedetti a ristrutturare i pensieri e le cognizioni basati su percezioni inadeguate in grado di scatenare emozioni disarmanti. Pertanto, il primo suggerimento offerto al giovane bloccato dalla paura e dal persecutore interno fu la tecnica principe per la terapia del disturbo da panico, ovvero la prescrizione della "mezzora": chiesi al paziente di isolarsi ogni giorno per mezz’ora e cercare di portare alla mente tutte le peggiori fantasie rispetto alle proprie paure, fobie o ossessioni, cercando di provocarsi più ansia possibile e di sfogare tutte le reazioni che queste gli producono. La tecnica si basa su una logica paradossale: quanto più la persona cerca di prodursi volontariamente una reazione ansiosa, che per sua natura è spontanea, tanto più questa si inibisce per effetto del paradosso « sii spontaneo ». In questo modo la persona vive una prima importante esperienza emozionale correttiva nella gestione delle proprie ansie, scoprendo che può annullarle proprio cercando di produrle.

Dopo due settimane il giovane tornò dichiarando che, stranamente per lui, durante la mezz’ora di peggiore fantasia non era riuscito a stare male, anzi la mente evitava lo sforzo di calarsi nelle immagini più atroci e, contrariamente alle sue intenzioni, si era rilassato, talvolta persino addormentato.
Spiegai come questo fosse l’esito desiderato, anche se non dichiarato in precedenza, allo scopo di fargli scoprire quale fosse il modo migliore per combattere i momenti in cui la paura diveniva panico. Questa scoperta, insieme alla spiegazione rassicurante sulla logica del metodo, lo fece sentire decisamente confortato e fiducioso. Così procedemmo, come da protocollo, a un addestramento progressivo all’uso della peggiore fantasia ogni qual volta l’ansia e la paura fossero salite alle stelle, con l’obiettivo di produrre il ben noto effetto paradossale di azzerare immediatamente l’escalation dell’ansia in corso.

Nel corso delle sedute successive il paziente viene guidato ad utilizzare la stessa tecnica nel corso della giornata in maniera frazionata, per poi arrivare ad utilizzarla solo nel momento del bisogno.

Grazie all’apprendimento di questa tecnica, i pazienti scoprono come gestire efficacemente l’ansia e possono essere così guidati a superare, mediante l’ausilio di altre tecniche, tutti i limiti che la paura aveva introdotto nella loro vita.

Dopo qualche settimana Marco acquisì la capacità di azzerare le sue reazioni di panico, cosicché potemmo occuparci direttamente del suo persecutore interno, il quale imperversava ancora nella sua mente malgrado gli effetti sintomatici invalidanti fossero sotto controllo.

Proposi al giovane alcuni interrogativi mirati a orientarlo a gestire con successo la battaglia contro i pensieri molesti. Chiesi allora: « Quando cerchi di combattere il tuo persecutore interno, questi tace o fa la voce più forte e diventa più aggressivo? » La risposta, come previsto, fu: « Più cerco di annullare certi pensieri, più aumentano. E un duello nel quale alla fine sono sempre io a cedere ». Parafrasai:
« Pertanto, se continui a combattere così la situazione non potrà che mantenersi o peggiorare ». « Certo » confermò lui.

A questo punto gli posi la domanda chiave: « Secondo te, se ti propongo un dubbio patogeno, come ad esempio pensare se puoi farcela o non farcela, oppure, più direttamente, affermare che tanto non sei all’altezza, e cerchi di rispondermi per dimostrarmi che le cose non stanno così, l’effetto sarà che ti tranquillizzi o che ti agiti ancora di più? »
Rispose: « Mi agito ancora di più, ma dovrei riuscire a non pormi certi dubbi, a non avere la voce che mi dice che non posso farcela ».

Attraverso una serie di domande di questo tipo lo portai a toccare con mano come fosse proprio il suo tentativo di combattere l’inquisitore ad aumentarne la forza e il potere intrusivo fino a sopraffarlo. In altri termini, solo se fosse riuscito a evitare di rispondere ai dubbi molesti e a combattere contro l’inquisitore li avrebbe allontanati. Dissi: « Non puoi combattere direttamente con i dubbi, altrimenti finisci per alimentarli e perderti nei labirinti mentali che tu stesso costruisci. Puoi invece decidere di bloccare qualunque risposta, sia mentale che comportamentale, in modo da togliere il nutrimento alle tue ossessioni e, come scrive il mio amico Cioran, farle saturare di loro stesse ».

Lo preavvisai anche che sarebbe stato un lavoro duro, da veri ossessivi, ma lui aveva tutte le carte in regola per riuscire a farlo! Grazie ai miglioramenti aveva ripreso a frequentare la scuola di comunicazione; gli suggerii allora un piccolo esperimento utilizzando uno stratagemma retorico di Cicerone, la captatio benevolentiae. In pratica, durante una lezione avrebbe dovuto alzarsi ed esporre una sua opinione ma, cosa più importante, prima di dichiararla avrebbe dovuto scusarsi con i presenti per la sua evidente difficoltà a esporre in pubblico. Poi avrebbe dovuto procedere, e dal momento che tutti i presenti erano stati preavvisati, avrebbe evitato in partenza la brutta figura.

Il suggerimento lo colpì. Marco si mostrò incuriosito di vedere se davvero lo stratagemma di Cicerone avrebbe funzionato, come questi lo descriveva nel testo sulle orazioni.

Come si può ben capire la terapia si avviò verso una duplice direzione: quella di smontare il meccanismo del dubbio patologico e quella di procedere gradualmente a un controevitamento delle situazioni che fino ad allora non aveva affrontato per paura.

Al successivo incontro Marco, divertito, riferì prima di tutto gli esiti dell’espediente oratorio, descrivendo come tutti i partecipanti, compreso il docente, fossero rimasti sorpresi dalla sua iniziativa e stupefatti dalla sua dichiarazione.
Furono così entusiasti della sua esposizione, sia dal punto di vista del contenuto che della forma comunicativa, che si erano complimentati con lui.

Grazie a tale esperienza la sua partecipazione alle lezioni era diventata attiva e raccontò di aver preso parte anche a esercitazioni su tecniche davvero espositive!

Anche l’ossessivo lavoro di tenere a bada le risposte ai pensieri ossessivi aveva iniziato a dare buoni frutti e Marco era riuscito a toccare con mano che, quando evitava la provocazione del dubbio bloccandone ogni reazione, questo dopo un po’ svaniva, mentre quando non riusciva a bloccare le risposte si era di nuovo innescata l’escalation del duello mentale tra lui e il suo persecutore.

Il lavoro terapeutico con il giovane andò avanti nel tempo fino a quando imparò a bloccare le risposte patologiche ai dubbi patogeni, ossia a smettere di reagire alle molestie del persecutore interno facendo in modo che scomparisse.
Nel frattempo, grazie alla graduale esposizione alle situazioni fino ad allora temute, Marco acquisì più fiducia in sé e nove mesi dopo il nostro primo incontro iniziò uno stage formativo presso una delle aziende indicate, come previsto dall’MBA che aveva frequentato.
Concluso lo stage semestrale, il giovane manager fu assunto da un’importante società multinazionale. Attualmente svolge felicemente la sua attività e vive tra Londra e l’Italia.

Un giorno venne a trovarmi per farmi un saluto e portarmi in regalo un tagliacarte d’avorio antico, dicendomi che lo aveva scelto dopo aver letto il mio libro Cavalcare la propria tigre: mi disse che stava cavalcando la sua tigre e, simpaticamente, per non dimenticare quanto aveva imparato per vincere senza combattere, aveva fatto un quadretto con un’immagine a lui cara con la scritta: « Persecutore, vaffa... »

Psicoterapeuta Parma

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