Dott. Giammario Mascolo

Disturbo ossessivo-compulsivo, un caso clinico trattato con successo

Il dis-infettato

Un giovane impiegato di banca, inviato dal suo medico curante per una forma manifesta di ossessione compulsiva, racconta di essere condizionato in tutta la sua vita dal terrore di essere contagiato dal virus dell'AIDs e che, sulla base di tale irrefrenabile paura che egli stesso ritiene immotivata considerando il suo stile di vita, è costretto a evitare il contatto con tutto ciò che gli appare contagioso.
Purtroppo, nel corso del tempo le cose da evitare erano aumentate a tal punto che, ad esempio, per dare la mano alle persone usava dei guanti bianchi al fine di evitare il contatto; la stessa cosa faceva per lavorare ai computer utilizzati anche da colleghi.
A casa sua, tutto veniva disinfettato, persino la sua ragazza, la quale quando andava a trovarlo veniva resa asettica con lavaggi sterilizzanti. Egli inoltre si lavava ripetutamente le mani e le parti più esposte del corpo, non solo con sapone ma anche con alcool o altri disinfettanti.
Questo tipo di patologia si regge, a livello di struttura, fondamentalmente sulla tentata soluzione del controllo di una fissazione fobica mediante l'esecuzione di rituali di tipo protettivo o propiziatorio (i rituali possono essere i più disparati: lavaggi decontagianti, formule mentali ripetute, comportamenti inusuali irrefrenabili, eccetera).
La tecnica messa a punto specificatamente per rompere tale circolo vizioso patogeno consiste nel dare la seguente prescrizione (Nardone, 1993) che venne ingiunta al giovane bancario alla terza seduta, dopo le dovute manovre per acquisire la possibilità di influenzare direttamente le sue azioni:
"Ogni volta che di qui alla prossima seduta lei esegue un rituale, se lo esegue una volta lo esegua cinque volte, né una volta di più, né una volta di meno; Può non farlo; ma se lo fa una volta lo fa cinque volte, né una volta di più, né una volta di meno. Pertanto se si lava le mani una volta, lo farà cinque volte; né una volta di più, né una volta di meno. Può non farlo, ma se lo fa una volta lo farà cinque volte. Se lei disinfetta qualcosa o qualcuno lo farà per cinque volte, né una volta di meno né una volta di più. Può non farlo, ma se lo fa una volta, lo farà cinque volte, né una volta di più né una volta di meno, cinque volte".

Il paziente, con uno sguardo esterrefatto, replicò: "Questa è una tortura, ma se è proprio necessario, lo fárò".
Il terapeuta rispose: "Scusi, ma chi come lei è abituato a fare cose strane, può fare anche questo".

All'appuntamento successivo egli, come la maggioranza di questi pazienti, riferì che aveva eseguito il compito alla lettera nei primi giorni; poi gli era sembrato così fastidioso e stupido che aveva interrotto tutto, anche i rituali precedenti.
Come al solito, il terapeuta chiese di spiegare bene cosa era accaduto, con un'apparente sorpresa. Egli confermò che dopo qualche giorno non aveva sentito più il bisogno di disinfettare o disinfettarsi, anzi la cosa gli appariva ora decisamente fastidiosa. Inoltre affermò, in modo ancora analogo alla maggioranza dei suoi colleghi di compulsioni trattati, che anche la paura dei contagi si era decisamente ridotta, tanto che aveva fatto cose prima mai fatte. Era, infatti, andato al ristorante con dei colleghi; era persino andato in piscina con la sua ragazza e aggiunse che là una persona aveva perso del sangue dal naso negli spogliatoi e ciò, stranamente, non lo aveva gettato nel terrore del contagio, anzi era rimasto indifferente all'accaduto.
A questo punto il terapeuta chiese "Come si spiega questo cambiamento? Come spiega che cose che prima la terrorizzavano adesso la lasciano indifferente?".
Egli, dando inconsapevolmente un esempio eccellente di come avvenga un cambiamento percettivo-reattivo radicale, rispose: "Come vedevo le cose prima, mi sembrava logico avere paura e dovermi proteggere con i lavaggi e le altre cose che facevo, come le vedo adesso mi sembra logico non avere paura e quindi stupido fare certe cose. Non so cosa sia successo ma ora le cose vanno bene. Forse lei potrebbe spiegarmi cosa e come è accaduto?".

A livello di struttura logica, per riprendere un antico stratagemma dell'Arte della Guerra, questa prescrizione apparentemente semplice permette di "Far salire il nemico in soffitta e poi togliere la scala", poiché ci si impossessa del sintomo irrefrenabilmente compulsivo facendolo divenire qualcosa di volontario, che pertanto può essere rifiutato. In altri termini "se te lo concedi puoi rinunciarvi, se non te lo concedi sarà irrinunciabile".
Questa prescrizione, che è parte fondamentale del protocollo per la terapia della sindrome ossessivo-compulsiva applicato con grande successo a centinaia di casi, tuttavia, come il lettore attento avrà notato, è formulata e ingiunta con un linguaggio fortemente suggestivo, come un comando post-ipnotico, all'interno del quale prima si prescrive una "ordalia", poi si dà il permesso di non eseguirla...
Ma non eseguendo tale prescrizione punitiva, il paziente non mette in atto nemmeno i precedenti rituali, poiché essa altro non è che una esasperazione paradossale e ritualizzata di quelle espressioni sintomatiche.

Psicoterapeuta Parma

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