Dott. Giammario Mascolo

Disturbo da alimentazione incontrollata (Binge eating), un caso clinico trattato con successo

Credevo fosse anoressia e invece...

Si presentano allo studio del terapeuta una ragazza molto giovane e i suoi genitori. Dopo essersi presentati i due terapeuti cominciano ad indagare il problema.

La madre dice subito che la ragazza soffre di anoressia, negli ultimi tempi ha perso 8 / 9 chili, perché mangia e poi vomita.
Loro hanno provato a documentarsi e anche a tenere il bagno chiuso a chiave per impedirle di andare a vomitare, ma non è servito a molto. Finché, ultimamente, la ragazza stessa ha chiesto di essere aiutata a liberarsi da questo problema.
Il padre aggiunge che, parlando con la ragazza, le ha sentito dire che è più forte di lei, che non riesce a controllare questo fenomeno.

Parlando direttamente con la ragazza, i terapeuti indagano meglio sul problema. Emerge che ci sono momenti nei quali mangia di tutto e senza controllo, per poi ricorrere a periodi più o meno lunghi di digiuno, o comunque di fortissime restrizioni.
Approfondendo meglio viene fuori che il vomito a volte c'è, ma non sempre, per esempio, negli ultimi giorni, se mangia carne e verdure poi non va a vomitare, mentre se mangia dolci sì.
Senza vomitare, tuttavia, sta ancora più male, perché vede il suo corpo deformarsi, la pancia si gonfia e così via.

A questo punto i terapeuti cominciano a ridefinire il problema, con una tecnica che, al tempo stesso, è un modo per proporre alla persona un nuovo punto di vista:
"Tendi a digiunare, a rallentare moltissimo, in modo tale che poi la voglia di mangiare ti aumenta, vero? E finirai per fare l'abbuffata. Poi se vomiti ti aumenterà ancora di più la voglia, subito. Se digiuni durerà 1, 2, 3 giorni, poi rifai l'abbuffata. Quindi in realtà le tue momentanee buone soluzioni per risolvere il problema sono ciò che mantiene il problema!"

La paziente a questo punto appare spiazzata dalla nuova descrizione del suo rapporto col cibo, e, di conseguenza, comincia a rifletterci.

Il terapeuta ora può fissare l'obiettivo della terapia, certo che sarà condiviso dalla ragazza; così afferma: "Ma sia il digiuno che il vomito è ciò che ti riconduce inevitabilmente all'abbuffata. Quindi sarebbero le prime cose da cercare di cambiare. Altrimenti tu sarai vittima delle abbuffate e delle vomitate o solo delle abbuffate e quindi avrai il problema di ingrassare."

Indagando sui comportamenti dei genitori emerge che la madre cerca di imporre alla ragazza di mangiare, mentre il padre cerca di parlarle e farla ragionare. Evidentemente, però, nessuna delle due strategie funziona. Lei continua a mangiare senza controllo oppure a digiunare indipendentemente da ciò che i suoi fanno o dicono.

La ragazza riferisce anche di aver di molto ridotto le sue frequentazioni sociali, le uscite con le amiche e il rendimento scolastico. Solo va in palestra per cercare di perdere peso.

I terapeuti spiegano di aver capito il problema, e che adesso daranno degli esercizi da svolgere tra una seduta e l'altra. Precisano che può trattarsi di esercizi un po' strani, un po' incomprensibili, ma che vanno eseguiti alla lettera perché, così come è strana la logica del problema, così altrettanto strana deve essere la soluzione. Vengono dunque dati due compiti a tutta la famiglia. Nei problemi alimentari, soprattutto con adolescenti, la tecnica strategica è spesso quella di coinvolgere le persone che vivono insieme al paziente.
I genitori a questo punto raccontano del rapporto conflittuale che c'è tra la ragazza e una delle sorelle.

Viene chiesto ai genitori, con la preghiera di riferire anche alle sorelle quando verranno a casa, di interrompere da quel giorno in poi ogni tentativo di parlare del problema della ragazza. Parlare, si spiega loro, è come innaffiare la pianta del problema: la si fa solo crescere e diventare più infestante. Si dovrà perciò tenere una sorta di "Congiura del silenzio", contrariamente a quanto fatto precedentemente.

Inoltre dovrà essere evitata qualunque indicazione sul cibo: "Mangia questo, non mangiare quest'altro, stai mangiando troppo, oppure troppo poco." Dovranno essere interrotti tutti i suggerimenti di questo tipo. Anche se capiscono quanto per una madre sia difficile evitare di dire alla propria figlia come mangiare, è proprio questo che si dovrà fare da adesso in poi.

Alla seconda seduta la ragazza viene ricevuta prima da sola. Dice che le cose non sono cambiate molto, che i suoi continuano ad insistere con lei per farla mangiare oppure per dirle di non abbuffarsi. In realtà, però, ci sono state solo due abbuffate nell'ultima settimana.

A questo punto i terapeuti introducono una argomentazione che, ancora una volta, ricalca il diverso punto di vista introdotto nella seduta precedente: "Allora, quello che vogliamo portarti a comprendere è un tipo di ragionamento che credo, siccome sei intelligente, riuscirai a raggiungere. Fermo restando la tua intenzione a non voler ingrassare, credo che la cosa che temi di più è fare le abbuffate, quindi la cosa prioritaria da controllare per te sono le abbuffate. Allora, su questa linea, quello che mi va di farti comprendere, è che in realtà tu finisci per fare una abbuffata ogni volta che per qualche giorno ti sei limitata con il cibo, addirittura ti sei messa a digiuno. Ogni restrizione prepara l'abbuffata, che poi viene seguita da un nuovo digiuno che prepara una nuova abbuffata. Ciò che regge il problema, è che tu cerchi di controllare l'abbuffata, ma non ci riuscirai mai. Dovrai invece iniziare a controllare il digiuno; nel senso che se tu restringi giornalmente, finirai per abbuffarti, invece di evitare di abbuffarti devi importi di evitare il digiuno.
Quello che all'inizio sarà difficile è che devi avere dei pasti come tu vuoi, ma regolari, la cosa impegnativa è questa.
Se ti abbuffi, il giorno dopo dovrai mangiare regolarmente, altrimenti „dopo digiuni, e dopo ti riprende la voglia di abbuffarti. Quindi, quello che noi vogliamo pensassi, è che ciò di cui devi avere paura non sono le abbuffate ma i digiuni, le restrizioni che sono quelle che ti procurano le abbuffate.
Tu cerchi di combattere solo l'abbuffata ma il risultato è che hai voglia di farla di più. Ci hai provato, ma più cerchi di controllarla più lo fai. Mentre invece se vuoi limitare la tua tendenza ad abbuffarti, devi riuscire a evitare i digiuni prolungati e le restrizioni."

La paziente, ancora una volta, appare spiazzata da questa ridefinizione del suo problema, e afferma di non sapere se riuscirà a portare avanti questo modo di vedere. Allora il terapeuta sintetizza: "Sì, quando ti abbuffi e poi digiuni perdi quei chili che avevi messo, però poi ci ricadi.
Mi raccomando, adesso quello che devi pensare è che quando fai il digiuno o le restrizioni, prepari le abbuffate. Se vuoi controllare le abbuffate devi controllare il digiuno, d'accordo?"

Viene poi suggerito un altro compito: ogni giorno la ragazza dovrà concedersi una piccola trasgressione al suo iper-controllo alimentare. Un dolcetto, un cioccolatino, un biscotto, o cose del genere. Questo esercizio rientra nella logica della piccola perdita di controllo che aiuta a mantenere il controllo.

Vengono a questo punto ricevuti i genitori, insieme ad una delle sorelle della ragazza. I terapeuti li rimproverano per non aver rispettato l'esercizio dell'evitare di intervenire.
La madre dice che ha solo nascosto il cibo perché non voleva che sua figlia stesse male per averne mangiato troppo. Si giustifica dicendo che tanto sua figlia non lo sa.

I terapeuti commentano: "Crede davvero che sua figlia sia così ingenua? Se n'è accorta e come, e anzi questo le ha reso ancora più trasgressiva la sfida di procurarsi cose da mangiare. Così, per cercare di aiutarla, in realtà lei peggiora il suo problema, la spinge a sfidarvi ancora di più e quindi mangiare."

La madre appare sconvolta da questa rivelazione, e promette che, questa volta, starà più attenta ad evitare ogni intervento.

Si lavora a questo punto anche sul conflitto tra le due sorelle adolescenti, ma sorvoliamo su questo aspetto per non dilungarci troppo.

La terza e la quarta seduta vedono la ragazza gradualmente entrare in questa nuova ottica. Dapprima riesce a seguire l'evitamento dei digiuni per pochi giorni, poi gradualmente per più tempo.
Questo perché, man mano che riesce a farlo, si rende conto di quanto il problema di cosa mangiare o non mangiare diventa sempre meno assillante per lei.
L'effetto della tecnica è proprio questo: il paziente si accorge che, evitando i digiuni, perde d'importanza la preoccupazione del cosa mangiare domani, più tardi, stasera a cena ecc. Perchè può mangiare ciò che vuole senza farne più una ossessione.

Alla quinta seduta, infatti, la ragazza riferisce di aver preso due chili e mezzo. E' un po' preoccupata da questo, però è molto meno preoccupata dal decidere se può mangiare o se deve digiunare. Di fatto ha smesso di digiunare e sta gradualmente avvicinandosi al suo giusto peso.

Alla madre viene confermato che, interrompendo ogni suo intervento, ha permesso alla ragazza di riscoprire un rapporto sano con il cibo.

Alla sesta seduta la ragazza arriva dopo una vacanza con le amiche, durante la quale ha mangiato a suo dire tantissimo, ha preso qualche chilo. Dice di essere ancora preoccupata dal pensiero di dimagrire, ma molto meno di prima.
I terapeuti ridefiniscono questa situazione come la piena di un fiume che è passata, mentre adesso bisogna riportare l'acqua ad un livello normale. L'acqua è la fame e la voglia di mangiare le quali, tolto l'assillo dei digiuni, torneranno gradualmente alla normalità.

Infatti dopo un mese e negli anni successivi la paziente ha riferito una regolazione della fame e anche del peso corporeo.

Tutta questa terapia, come spesso capita nei disturbi alimentari, si è svolta sulla cosiddetta "ridefinizione", cioè sul portare la persona a percepire la sua situazione in maniera diversa. In questo caso dall'ossessione di evitare di mangiare si è proposto di passare alla certezza di poter mangiare regolarmente, temendo più i digiuni che le abbuffate.
Questo ha permesso alla ragazza di regolarizzare il suo rapporto con il cibo, sia come nutrimento, sia come piacere.

Psicoterapeuta Parma

Psicologo Psicoterapeuta a Roma
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