Carenza di autostima, un caso clinico trattato con successo
Comunque sbagli - Il persecutore interno
Marco è un giovane laureato in economia presso una prestigiosa
università e si è appena specializzato presso uno
dei più importanti M.B.I. Tutto è andato per il verso giusto nella sua vita fino a quando, riferisce, sono giunte le
prime importanti offerte di lavoro, le quali hanno innescato
i primi dubbi sulle sue effettive competenze e capacità
ad assumere il ruolo di manager.
Finché si è trattato solo di studiare e di divorare esami anche molto impegnativi
non ha avuto nessun problema, tutto era pianificato e sotto
controllo, ma adesso Marco si sente come il soldato alla
prova del fuoco, spaventato e in dubbio sulle sue capacità
di combattere e vincere.
Egli cerca di ragionare obiettivamente e ne deduce che tutti i grandi manager hanno dovuto
superare tale prova iniziale ma, al tempo stesso, pensa
che forse loro erano più sicuri e determinati di lui. Poi, riflettendo
a fondo, capisce che è ragionevole avere dubbi sulle proprie capacità sino a che non ci si mette effettivamente alla prova. Ma è altrettanto vero che mettendosi alla prova senza una determinazione sufficiente, si rischia il fallimento:
Forse, per non buttarsi allo sbaraglio e rischiare
un disastro, è necessario prepararsi ancora meglio.
Così Marco rimanda il suo ingresso nel mondo del lavoro
per proseguire la formazione. Purtroppo, procrastinare
non aiuta a superare le insicurezze, bensì le rende più gravi.
Così il giovane laureato intraprende un percorso formativo alla comunicazione manageriale, ma ben presto si rende conto che, soprattutto nel suo caso, la scelta di tornare
di nuovo nella posizione rassicurante dello studente non lo
aiuta granché, poiché il cimentarsi nell’apprendimento di
strategie e tecniche di comunicazione che prevedono esercitazioni
espositive con i colleghi di corso lo rimette di
fronte proprio ai suoi timori, che anziché ridursi sono aumentati;
alle sue paure, infatti, ora si è aggiunta quella di parlare in pubblico, costantemente alimentata dal dubbio sulla sua capacità di trovare le parole giuste e disporle nella
maniera adeguata.
Il persecutore interno ha condotto Marco a evitare di
confrontarsi con la realtà per la quale aveva così diligentemente
studiato; questo atto, dapprima liberatorio, ha confermato
e dimostrato i suoi dubbi sino a farli letteralmente
dilagare nella sua mente, facendolo sentire non all’altezza
del ruolo.
La situazione diventa insostenibile e Marco si decide a chiedere un aiuto specialistico.
Come accade frequentemente in questi casi, il giovane giunse nel mio studio con una precisa diagnosi di attacchi di panico da parte dello psichiatra al quale si era rivolto in
precedenza. Il medico, a seguito di tale inquadramento nosografico,
aveva prescritto al paziente un trattamento a base
di antidepressivi e ansiolitici. Questa terapia, riferì il paziente,
dapprima aveva calmato la sua ansia e ridotto le angosce,
ma dopo alcuni mesi la situazione era addirittura
peggiorata a causa degli effetti collaterali dei farmaci.
Senza disquisire o criticare il lavoro del collega psichiatra,
cominciai a indagare sul problema che Marco presentava
utilizzando, come al solito, una serie di domande strategiche
per far emergere il funzionamento del meccanismo
che lo inchiodava all’incapacità di lanciarsi nel mondo del
lavoro.
Emerse chiaramente che Marco avvertiva dentro di sé
una costante presenza molesta che lo perseguitava facendolo
sentire incapace e svalutando ogni suo successo come
se fosse stato frutto di fortuna e non dei suoi meriti. Con
un’immagine analogica parafrasai il suo stato come quello
di colui che partecipa a un gioco in cui la vittoria vale zero e la sconfitta vale doppio, per cui non è possibile vincere.
Spalancando gli occhi Marco replicò: «Proprio così, non
vinco mai, alla fine perdo sempre, e se qualcosa va bene
non è mai merito mio ».
Feci tuttavia notare come nello studio avesse sempre
vinto alle prove d’esame. Il giovane prontamente esclamò:
« Ma all’università non ho dovuto fare niente di realmente
pratico e applicativo! » Infatti, solo in questi casi Marco
andava letteralmente « in tilt ». Così gli chiesi in che modo
cercasse di combattere il suo persecutore interno.
Marco
riferì che tentava continuamente di ragionare in modo razionale,
ma era una lotta impari, in quanto alla fine i pensieri
molesti avevano sempre la meglio, e di fronte alle prove
o era scappato o aveva fallito.
La situazione appariva come una sintesi tra un dubbio
persecutore e un disturbo d’ansia con blocco della performance.
Sulla base di ciò, come di consueto si procede applicando
il modello di psicoterapia breve strategica.
Dapprima azzerai i sintomi invalidanti, poi procedetti a ristrutturare
i pensieri e le cognizioni basati su percezioni inadeguate
in grado di scatenare emozioni disarmanti. Pertanto,
il primo suggerimento offerto al giovane bloccato dalla
paura e dal persecutore interno fu la tecnica principe per
la terapia del disturbo da panico, ovvero la prescrizione
della "mezzora": chiesi al paziente
di isolarsi ogni giorno per mezz’ora e cercare di portare
alla mente tutte le peggiori fantasie rispetto alle proprie paure, fobie o
ossessioni, cercando di provocarsi più ansia possibile e di sfogare tutte
le reazioni che queste gli producono. La tecnica si basa su una logica
paradossale: quanto più la persona cerca di prodursi volontariamente una reazione ansiosa, che per sua natura è spontanea, tanto più questa
si inibisce per effetto del paradosso « sii spontaneo ». In questo modo
la persona vive una prima importante esperienza emozionale correttiva
nella gestione delle proprie ansie, scoprendo che può annullarle proprio
cercando di produrle.
Dopo due settimane il giovane tornò dichiarando che,
stranamente per lui, durante la mezz’ora di peggiore fantasia non era riuscito a stare male, anzi la mente evitava lo sforzo di calarsi nelle immagini più atroci e, contrariamente
alle sue intenzioni, si era rilassato, talvolta persino addormentato.
Spiegai come questo fosse l’esito desiderato,
anche se non dichiarato in precedenza, allo scopo di fargli
scoprire quale fosse il modo migliore per combattere i momenti
in cui la paura diveniva panico. Questa scoperta, insieme
alla spiegazione rassicurante sulla logica del metodo,
lo fece sentire decisamente confortato e fiducioso. Così
procedemmo, come da protocollo, a un addestramento progressivo all’uso della peggiore fantasia ogni qual volta l’ansia e la paura fossero salite alle stelle, con l’obiettivo di
produrre il ben noto effetto paradossale di azzerare immediatamente
l’escalation dell’ansia in corso.
Nel corso delle sedute successive il paziente
viene guidato ad utilizzare la stessa tecnica nel corso della giornata
in maniera frazionata, per poi arrivare ad utilizzarla solo nel momento del bisogno.
Grazie all’apprendimento di questa tecnica, i pazienti
scoprono come gestire efficacemente l’ansia e possono essere così
guidati a superare, mediante l’ausilio di altre tecniche, tutti i limiti
che la paura aveva introdotto nella loro vita.
Dopo qualche settimana Marco acquisì la capacità di azzerare
le sue reazioni di panico, cosicché potemmo occuparci direttamente del suo persecutore interno, il quale imperversava
ancora nella sua mente malgrado gli effetti sintomatici
invalidanti fossero sotto controllo.
Proposi al giovane alcuni interrogativi mirati a orientarlo
a gestire con successo la battaglia contro i pensieri molesti.
Chiesi allora: « Quando cerchi di combattere il tuo persecutore
interno, questi tace o fa la voce più forte e diventa
più aggressivo? » La risposta, come previsto, fu: « Più cerco di annullare certi pensieri, più aumentano. E un duello nel quale alla fine sono sempre io a cedere ». Parafrasai:
« Pertanto, se continui a combattere così la situazione non potrà che mantenersi o peggiorare ». « Certo » confermò
lui.
A questo punto gli posi la domanda chiave: « Secondo
te, se ti propongo un dubbio patogeno, come ad esempio
pensare se puoi farcela o non farcela, oppure, più direttamente,
affermare che tanto non sei all’altezza, e cerchi di
rispondermi per dimostrarmi che le cose non stanno così,
l’effetto sarà che ti tranquillizzi o che ti agiti ancora di
più? »
Rispose: « Mi agito ancora di più, ma dovrei riuscire
a non pormi certi dubbi, a non avere la voce che mi dice
che non posso farcela ».
Attraverso una serie di domande di questo tipo lo portai
a toccare con mano come fosse proprio il suo tentativo di
combattere l’inquisitore ad aumentarne la forza e il potere
intrusivo fino a sopraffarlo. In altri termini, solo se fosse
riuscito a evitare di rispondere ai dubbi molesti e a combattere
contro l’inquisitore li avrebbe allontanati. Dissi:
« Non puoi combattere direttamente con i dubbi, altrimenti
finisci per alimentarli e perderti nei labirinti mentali
che tu stesso costruisci. Puoi invece decidere di bloccare
qualunque risposta, sia mentale che comportamentale, in modo da togliere il nutrimento alle tue ossessioni e, come scrive il mio amico Cioran, farle saturare di loro stesse ».
Lo preavvisai anche che sarebbe stato un lavoro duro,
da veri ossessivi, ma lui aveva tutte le carte in regola per
riuscire a farlo! Grazie ai miglioramenti aveva ripreso a
frequentare la scuola di comunicazione; gli suggerii allora
un piccolo esperimento utilizzando uno stratagemma retorico
di Cicerone, la captatio benevolentiae. In pratica, durante
una lezione avrebbe dovuto alzarsi ed esporre una
sua opinione ma, cosa più importante, prima di dichiararla
avrebbe dovuto scusarsi con i presenti per la sua evidente
difficoltà a esporre in pubblico. Poi avrebbe dovuto procedere,
e dal momento che tutti i presenti erano stati preavvisati,
avrebbe evitato in partenza la brutta figura.
Il suggerimento lo colpì. Marco si mostrò incuriosito di
vedere se davvero lo stratagemma di Cicerone avrebbe
funzionato, come questi lo descriveva nel testo sulle orazioni.
Come si può ben capire la terapia si avviò verso una duplice
direzione: quella di smontare il meccanismo del dubbio
patologico e quella di procedere gradualmente a un
controevitamento delle situazioni che fino ad allora non
aveva affrontato per paura.
Al successivo incontro Marco, divertito, riferì prima di
tutto gli esiti dell’espediente oratorio, descrivendo come
tutti i partecipanti, compreso il docente, fossero rimasti
sorpresi dalla sua iniziativa e stupefatti dalla sua dichiarazione.
Furono così entusiasti della sua esposizione, sia dal
punto di vista del contenuto che della forma comunicativa,
che si erano complimentati con lui.
Grazie a tale esperienza la sua partecipazione alle lezioni
era diventata attiva e raccontò di aver preso parte anche a
esercitazioni su tecniche davvero espositive!
Anche l’ossessivo lavoro di tenere a bada le risposte ai pensieri ossessivi aveva iniziato a dare buoni frutti e Marco
era riuscito a toccare con mano che, quando evitava la provocazione
del dubbio bloccandone ogni reazione, questo dopo un po’ svaniva, mentre quando non riusciva a bloccare le risposte si era di nuovo innescata l’escalation del
duello mentale tra lui e il suo persecutore.
Il lavoro terapeutico con il giovane andò avanti nel tempo
fino a quando imparò a bloccare le risposte patologiche
ai dubbi patogeni, ossia a smettere di reagire alle molestie
del persecutore interno facendo in modo che scomparisse.
Nel frattempo, grazie alla graduale esposizione alle situazioni
fino ad allora temute, Marco acquisì più fiducia in sé
e nove mesi dopo il nostro primo incontro iniziò uno stage
formativo presso una delle aziende indicate, come previsto
dall’MBA che aveva frequentato.
Concluso lo stage semestrale,
il giovane manager fu assunto da un’importante società
multinazionale. Attualmente svolge felicemente la sua
attività e vive tra Londra e l’Italia.
Un giorno venne a trovarmi per farmi un saluto e portarmi in regalo un tagliacarte
d’avorio antico, dicendomi che lo aveva scelto dopo
aver letto il mio libro Cavalcare la propria tigre: mi disse
che stava cavalcando la sua tigre e, simpaticamente, per
non dimenticare quanto aveva imparato per vincere senza
combattere, aveva fatto un quadretto con un’immagine a
lui cara con la scritta: « Persecutore, vaffa... »
Per una descrizione dettagliata di questo caso si veda Nardone G., De Santis G., Cogito ergo soffro: quando pensare troppo fa male, Ponte alle Grazie, 2011.
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