Un caso clinico: dubbio ossessivo patologico
Elena era una giovane donna, figlia unica di madre insegnante e padre ingegnere. è sempre stata una figlia modello,
brava a scuola, eccellente nella danza classica, socievole
e molto corteggiata. All’apparenza una persona destinata
al successo in tutte le direzioni della vita ma, purtroppo
per lei, finite le scuole superiori col massimo dei voti, la
scelta universitaria si trasformò in un dilemma senza via
d’uscita. La giovane si dibatteva tra l’idea di iscriversi a ingegneria
per seguire le orme del padre e per gli evidenti
vantaggi che avrebbe avuto, e la passione per qualcosa di
creativo ma che, tuttavia, avesse a che fare con la scienza.
Altre due possibilità erano architettura, che le sembrava
più creativa della rigida ingegneria e, in alternativa, medicina,
disciplina che coniugava il rigore scientifico con l’intuito
e le capacità personali. Elena non riusciva a venire a capo
del dilemma. Le continue analisi dei pro e contro, anziché sciogliere il dubbio, avevano ulteriormente complicato
la scelta. Non riuscendo a venirne fuori da sola, cominciò
a discuterne con i genitori e con il fidanzato, tentativo che
produsse però risultati diversi da quelli sperati. Il padre sosteneva
che Elena dovesse sentirsi libera nella scelta ma
che, a suo avviso, valutati costi e benefici, ingegneria sarebbe
stata la scelta più conveniente; dall’altro lato la madre,
elogiando le sue doti di intelligenza e umanità, pensava
che la figlia fosse più portata per medicina; il fidanzato,
studente di architettura, propendeva ovviamente per la sua
disciplina. Così i dubbi di Elena si sommarono alle opinioni
discordanti delle persone a lei vicine e ai sensi di colpa
per la possibilità di fare scelte che avrebbero disatteso le
aspettative dei suoi cari.
Al dilemma razionale si aggiungeva quello emotivo e relazionale:
« Comunque fai sbagli ».
Persino uno psicologo specializzato in orientamento, che l'aveva sottoposta a diversi test, aveva concluso che lei avrebbe potuto fare qualunque scelta, perché perfettamente in grado di affrontare qualunque genere di studi. Conclusione che, ovviamente, aveva confuso ancor di più la ragazza.
L’esito drammatico di tutto questo peregrinare alla ricerca
di una soluzione razionale al problema fu il rifugiarsi
nell’unica cosa che per Elena era una certezza: la danza, rimandando
la decisione del percorso universitario. Elena
decise di prendersi un anno di sospensione di giudizio riguardo
alla scelta universitaria, e nel frattempo di trasferirsi
a Londra per portare avanti a livello professionale i suoi
studi di danza presso una nota Accademia.
Tale decisione
dapprima sortì un effetto calmante, e il duro impegno con
la danza servì da potente distrattore rispetto ai dubbi che la
tormentavano. Al ritorno da Londra, però, dopo il semestre intensivo portato a termine con successo e con un diploma
di insegnante di primo livello in mano, la situazione,
anziché migliorare, si complicò ulteriormente.
Elena, per quanto emaciata per le settimane di abbrutimento
e con gli occhi gonfi di pianto, riempiva la scena
con la sua indiscutibile bellezza, grazia ed eleganza. Alla prima seduta chiese
dolcemente ai genitori di accomodarsi in sala d’attesa perché voleva parlare da sola con il terapeuta, per sentirsi libera di esprimere tutto ciò che le veniva.
Non appena il padre e la madre furono
usciti, scoppiò in un pianto a dirotto. Solo quando
smise di piangere espose la tormentata situazione in cui
si trovava e la sua sofferenza per il dolore che stava arrecando
ai genitori, i quali erano distrutti dal senso di impotenza.
In particolare il padre, con il quale aveva sempre avuto uno splendido rapporto e che aveva sempre rappresentato
un punto di riferimento sicuro, negli ultimi tempi
era caduto in depressione, tanto da doversi rivolgere al
medico di famiglia e assumere degli antidepressivi.
Dopo aver ascoltato il suo racconto guardandola negli
occhi in maniera diretta, il terapeuta dichiarò che sembrava un dilemma senza via d’uscita: dal suo punto di vista, lei apparteneva a quel tipo di persone che ogni giorno devono combattere con un sabotatore interno che boicotta continuamente
la serenità contestando la correttezza o la validità di
qualunque decisione e azione conseguente. Aggiunse: « Dentro di te c’è uno scettico che ti inchioda al dubbio atroce di non essere mai sicura di fare la cosa giusta. Suppongo
che, finché la tua vita è stata rigidamente pianificata,
il sabotatore scettico ti faceva sentire sempre a rischio
nelle interrogazioni e nelle prestazioni artistiche. Immagino
anche che, per quanto tu sia stata sempre brava, questo
demone dentro di te si presentava ogni volta, e ogni volta
era una nuova battaglia. La guerra tra te e l’altra te non è
mai finita ».
Mentre il terapeuta caricava di pathos il tentativo di raffigurarle l’immagine del suo problema psichico, Elena lo guardava incantata. Alla fine disse: « Sembra che lei mi abbia letto dentro, sembra che mi conosca da sempre, e questo mi
sembra molto strano ».
Egli la rassicurò autoironicamente sul fatto che non fosse un indovino, bensì un esperto del suo problema e che, per quanto le potesse sembrare strano, lei non era per niente originale. Al che Elena replicò prontamente: « Questo mi rassicura molto, perché se non sono l’unica a soffrire di
questa cosa significa che c’è un modo per venirne fuori ».
Così, dopo averla catturata suggestivamente, le venne illustrato quasi pedagogicamente il funzionamento del suo problema:
nel momento in cui per la prima volta si trovava a fare
una scelta completamente libera sul suo futuro, si era aperta
di fronte a lei una voragine che l’aveva risucchiata mentre
valutava tutte le possibilità, fino a sentirsi incapace di
scegliere, proprio perché avrebbe potuto fare al meglio
ognuna delle opzioni possibili. Il problema derivava soprattutto
dalla sua pretesa di giungere a una scelta mettendo
a tacere lo scettico, mentre questo suo compagno di
viaggio mai avrebbe taciuto, mai si sarebbe sopito, ma
avrebbe potuto solo essere educato e gestito, ovvero trasformato
da colui che disputa le scelte a colui che consiglia
e supervisiona, accettandone il crudele scetticismo come
una parte non solo inevitabile, ma utile di sé. Poi sorridendole
il terapeuta aggiunse: « Sei in buona compagnia, perché io stesso
ho dovuto rendermi amico il mio nemico interno ». A questa
battuta reagì con un incantevole sorriso dicendo:
« Sento che lei è proprio in grado di aiutarmi a venirne
fuori ». Dopodiché le venne suggerito di cominciare a cessare di
combattere contro il suo alter ego perché altrimenti sarebbe
stato, per dirla con Shakespeare, come il folle che cerca
di scacciare la propria ombra e ci si perde dentro. Pertanto,
anziché cercare di sciogliere i dubbi e risolvere gli
interrogativi, avrebbe dovuto portarli con sé come la propria
ombra, oppure come uno sfondo che non può essere
cancellato.
Oltre a ciò le venne prescritto un esercizio specifico che si utilizza in questi casi per aiutare la persona ad uscire dal dilemma presente guardando verso la sua realizzazione futura.
All’appuntamento successivo Elena si presentò curata,
elegante ma sobria e, soprattutto, sorridente e con uno
sguardo luminoso. Riferì che il fatto di pensare che ciò
con cui combatteva da sempre era una parte di sé che
avrebbe dovuto farsi amica aveva prodotto un effetto pressoché immediato di pacificazione, come se le forze della
natura in contrasto tra loro durante una tempesta si fossero
armonizzate e fosse apparso il sereno.
I dubbi e gli interrogativi
si presentavano alla sua mente, ma lei evitava di
combatterli.
Non si era mai vista né ingegnere, né architetto, bensì felicemente all’opera come
medico o psicoterapeuta, ovvero due professioni di
aiuto e basate su un continuo contatto relazionale. Di entrambi
i ruoli professionali aveva creato diverse fantasie,
dal medico senza frontiere che aiuta le persone più disagiate
del mondo, allo psicoterapeuta dei casi più estremi e dei
segreti più inconfessabili. Ciò che tuttavia l’aveva più sorpresa
era che si era vista sola, ovvero senza un compagno
accanto e lontana dai suoi genitori. Questa immagine l’aveva
un po’ sconvolta, in quanto il fidanzato e i genitori erano sempre stati dei punti di riferimento sicuri e mai aveva
messo in discussione la sua relazione amorosa. Infine, nel
suo futuro fantastico vedeva anche la danza praticata per
puro piacere e diletto personale, senza l’ossessione degli
spettacoli e della perfezione dei movimenti.
Le fu chiesto se di tutto ciò ne avesse parlato con le persone
a lei vicine. Rispose di aver evitato di farlo, perché dal suo
punto di vista per loro sarebbe stato sconvolgente: come
avrebbero potuto tollerare una Elena mai conosciuta prima?
Cosa avrebbe pensato il fidanzato? Sicuramente che
desiderava stare senza di lui.
Elena si mostrò interessata a
ciò che il terapeuta pensava di quanto era emerso, ma anziché risponderle
direttamente egli le pose un’altra domanda: « Come ti
spieghi l’esito sorprendente di questa semplice fantasia
orientata al futuro? » Dichiarò di averci pensato molto e
che alla fine era giunta alla conclusione di aver lasciato
correre per la prima volta il suo pensiero senza essere condizionata
dai genitori e dal fidanzato. Al che si sottolineò:
« Sarebbe come dire che finora sei stata influenzata più da
loro che dai tuoi desideri reali ». Spuntò una lacrima mentre
annuiva, poi disse che fin da piccola aveva fatto di tutto
per compiacere i familiari: prima era stata la bambolina
perfetta della madre, poi da adolescente la musa devota
del padre, e infine si era trovata un fidanzato perfettamente
conforme a tale modello. Persino nella danza non si era
mai discostata dagli insegnamenti e dai vincoli imposti dalla
propria maestra; ricordava un episodio di quando lei,
quindicenne, dopo un concorso venne selezionata per il
corpo di ballo della Scuola di Milano e rifiutò perché pensava
che il suo trasferimento avrebbe fatto soffrire tutti, fra
cui l’insegnante di danza, la quale le consigliò di non accettare
perché lei avrebbe dovuto essere la prima ballerina e
non un semplice membro del corpo di ballo.
Dopo aver ascoltato questa elaborazione della trama della sua vita, il terapeuta le pose una domanda tesa a evitare la facile
colpevolizzazione nei confronti dei genitori: « Ma pensi
che tua madre e tuo padre abbiano deliberatamente scelto
e pianificato di condizionare così tanto la tua vita, oppure,
in un gioco di complicità tra il tuo timore di esporti senza
le spalle coperte e il loro desiderio di averti vicina, vi siete
influenzati a vicenda costruendo un legame così condizionante?
Elena rispose prontamente che la seconda ipotesi calzava
a pennello per la sua situazione. Egli allora incalzò: « Adesso hai
chiaro cosa vuoi fare oppure non hai chiaro cosa vuoi fare?
O, ancora, sai cosa vorresti e lo vuoi realizzare o sai
cosa vorresti ma pensi che realizzarlo creerebbe troppi
problemi? »
« Almeno ci voglio provare, ho già preso informazioni
sui prossimi test di ammissione a medicina. Ho pensato infatti
che, nel caso volessi fare la psicoterapeuta, potrò farlo
con una laurea in medicina o in psicologia, ma se deciderò
di fare il medico potrò farlo solo con una laurea in medicina
» rispose lei.
Il terapeuta esclamò: « Ma allora sei già determinata! »
Lei asserì: « In realtà fino a oggi non lo ero così tanto,
ma parlando con lei mi sono convinta di più. Adesso dovrò
affrontare i miei genitori e il mio fidanzato. So già che
per i miei, anche se potranno preoccuparsi, andrà bene
qualsiasi cosa possa rendermi felice, mentre il mio fidanzato
credo si opporrà, perché è molto geloso e non penso
possa accettare il mio trasferimento in un’altra città per
studiare ».
Le domandò ancora: « E non temi la sua reazione di rifiuto,
visto che finora hai rispettato le sue aspettative? »
Elena rispose: « Sì, ma se lui dovesse opporsi così fermamente
sino a minacciare di rompere la storia significherebbe
che non mi vuole davvero bene ».
Il terapeuta incontrò la bella e intelligente Elena qualche altra volta
a distanza di tempo, svolgendo il ruolo di chi si confronta
con le sue idee ma senza darle prescrizioni, poiché era ciò che lei stessa chiedeva per sviluppare la sua autonomia
personale e fiducia nelle sue risorse.
Concluse il corso di studi in medicina.
Ogni tanto invia un’e-mail per tenere il terapeuta informato e perché la sua intenzione sarebbe quella di specializzarsi in psicoterapia.
Per una descrizione dettagliata di questo caso si veda Nardone G., De Santis G., Cogito ergo Soffro, Milano 2011.
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